"Scrivere è sempre nascondere qualcosa in modo che venga poi scoperto" (Calvino)
Recentemente, e in tutt’altro contesto, qualcuno mi ha detto: “Sai, una cosa è quello che si racconta in giro. Un’altra cosa è la verità”.
Ecco. Potrei raccontare in giro – cioè scrivere qui -, che conosco e apprezzo da tempo il poeta Franco Marcoaldi.
Potrei dire che vive e lavora a Roma, che ha pubblicato diverse raccolte tra cui: A mosca cieca, Voci rubate, Celibi al limbo, Amore non Amore, L’isola celeste, Animali in versi.
Potrei dire che ho letto con infinito piacere anche la sua ultima raccolta Il tempo ormai breve (il titolo è ispirato alle parole di Paolo nella prima lettera ai Corinzi “Questo vi dico, fratelli: ormai il tempo si è fatto breve”) e che ve ne voglio parlare.
Potrei anticiparvi che le sue sono poesie lucide, ironiche, mai sussiegose, mai tronfie. Parlano al nostro cuore quotidiano, non a quello delle commozioni speciali. Sono poesie semplici e belle, che arrivano come amiche e ti si siedono accanto, conversando del tempo. Il Tempo con la T maiuscola, mi raccomando, caso mai s’offendesse e cominciasse a correre ancora più veloce di quanto già non corra. Quel tempo che ci abbandona, ci sfugge, ci affascina nella maniera assurda degli amanti crudeli: quel tempo che non torna indietro.
Potrei citare le poesie che mi hanno colpito di più, come Il doppio sguardo, Il modo indicativo, La forza delle cose, Leggere e nuotare.
Potrei, tanto per concludere, dire che la poesia squarcia il velo sulla realtà che ci circonda, o, perché no?, che ci dà la misura e il senso del nostro misero stare al mondo… Banalità che fanno pur sempre la loro sporca figura.
Potrei.
Ma questo, sarebbe appunto un raccontare in giro.
Altro, sai, è la verità…
Che Franco Marcoaldi l’ho scoperto solo di recente.
Che le sue poesie sono belle, sì, ma ti mettono addosso l’ansia che solo la verità può mettere. Che il Tempo, una volta che ci fai caso, diventerà il tuo incubo. La sua T ti si pianterà in fronte come un martello.
Che non voglio parlare di nulla, che vorrei solo tacere.
E che la poesia, infine, cos’è?
Ha detto bene Wislawa Szymborska:
La poesia –
Ma cos’è mai la poesia?
Più d’una risposta incerta
è stata già data in proposito.
Ma io non lo so, non lo so e mi aggrappo a questo
come alla salvezza di un corrimano.
E se non lo sa lei, la più grande poetessa polacca, di una sensibilità eccezionale e scaltra – potrei forse saperlo io? Dovrei forse possedere le parole giuste per parlarne, e la spudoratezza?
No, no davvero.
Vorrei che questa pagina fosse vuota e pura, con al centro solo questo:
Che dici? Se ti abbraccio forte
forte, ho qualche chance in più
di scampare dalla morte?
Perché proprio così è fatta la copertina del libro di Marcoaldi (e mai copertina fu più perfetta).
Glabra – la immagino come fosse il petto di un bimbo o la testa di un vecchio – glabra e innocente, spogliata di ogni meraviglia, colore, immagine e storture della bellezza.
Candida e con tre versi nel mezzo, una specie di occhio che ti punta e non ti molla più, cogliendoti nella più intima e ultima debolezza.
Perché anche tu, e anch’io, e tutti, abbiamo sperato di scamparla così, la morte, o almeno di evitare la paura nera che la accompagna.
Tutti vorremmo morire in un abbraccio, con delle labbra che ci baciano gli occhi. Sarebbe come morire un po’ di meno. Sparire, sì, ma non del tutto. Cadere, sì, ma non proprio sprofondare.
È a tutto questo che pensi, e ancora non hai aperto il libro…
Sì, vorrei proprio che questa pagina di Konrad fosse una pausa, un silenzio di 4000 spazi bianchi, vergini e incolpevoli, che possano fare da specchio a chiunque ci si guardi dentro.
Quella sì, sarebbe l’unica cosa da fare, l’unica degna.
Come in certi momenti della vita c’è solo da stare zitti, così, nella poesia illuminante di Marcoaldi c’è solo da leggere e maturare tra sé ciò che si è letto, mentre si guarda il mondo (un po’ diverso da prima?), mentre si cammina (con un altro passo?), mentre si aspetta che arrivino la vita e la morte e il loro segreto all’angolo della prossima via.
Il libro di poesie in tasca, e la discrezione – la sapienza – di non parlarne mai.
Verità e poesia sono fatte della medesima fragilissima materia. Ogni chiacchiera potrebbe infrangerle, ogni commento guastarle.
Taci, tacile tutte e due. Non per nasconderle. Per salvarle.
Luisella Pacco
Non riesco a credere che tu non scriva poesia. Forse ti sei ripromessa di non farlo, per un eccesso di modestia o timore, ma lei, la poesia, balza fuori da ogni tuo rigo e se la ride. O forse sto sbagliando tutto e, in questo caso, mi scuso. 🙂
Sì, scrivo anche poesia, lo confesso 🙂
Ed era da tempo che volevo inserire qualcosa nel blog. Ti ringrazio di averne parlato, così mi sono decisa!
È vero, i tuoi racconti alitano poesia. E ora che ho letto i tuoi Allestimenti provvisori, capisco quanto la poesia si compenetri nella tua prosa rendendola leggera anche quando è grave di contenuto.
Mi hanno colpito poesie come Scrigni, il Rigattiere, Le parole di ieri, ma secondo me tutte hanno una forza di penetrazione e una malinconia di fondo che toccano le corde di chi le legge, lasciando però sempre intravedere la luce che si profila aldilà di ogni possibile pessimismo.
Marisa, ti ringrazio moltissimo. Ed è vero, c’è una luce. C’è sempre.
L’ha ribloggato su daisuzoku.
Grazie.